Nel mio lavoro di psicologa e psicoterapeuta a Brescia, mi sono trovata più volte ad affrontare il tema dell’ansia. Molto spesso mi sono interrogata sul significato di questo stato d’animo e per questo ho deciso di scrivere un post tecnico che spieghi un pò questo fenomeno.
Considerando la molteplicità dei possibili significati e la varietà delle forme di manifestazione dell’ ansia si può comprendere la difficoltà di definire questo stato affettivo utilizzando precisi criteri descrittivi.
Nonostante gli innumerevoli tentativi di circoscrivere questo fenomeno entro un’unica categoria, ad oggi non esiste una definizione di ansia che sia universalmente accettata. Tuttavia, è possibile rintracciare nelle diverse definizioni alcuni elementi comuni e peculiari della dimensione ansiosa.
L’American Psichiatric Association (1994) descrive l’ansia come “L’anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuri, accompagnata da sentimenti di disforia o da sintomi fisici di tensione. Gli elementi esposti al rischio possono appartenere sia al mondo interno che a quello esterno” (APA, 1994; cit. in: Franceschina et al., 2004, p. 213).
Allo stesso modo, nel trattato italiano di psichiatria l’ansia viene definita come “(…) uno stato emotivo a contenuto spiacevole, associato ad una condizione di allarme e di paura che insorge in assenza di un pericolo reale e che, comunque, è sproporzionata rispetto ad eventuali stimoli scatenanti.” (Perugi, Toni, 2002, p. 600).
L’ansia viene distinta dalla paura proprio per la mancanza di uno stimolo specifico e riconoscibile che ne evochi la risposta. Questa differenza viene sottolineata da diversi autori, tra cui Colombo (2001), che definisce l’ansia come una paura priva di oggetto, e Rachman (2004), che differenzia l’ansia dalla paura, descrivendo la prima come uno stato di aumentata vigilanza e la seconda come una reazione d’emergenza conseguente a fattori scatenanti.
L’ansia costituisce un fenomeno diffuso, eterogeneo e influenzato dalla varietà dei modelli teorici e dei riferimenti culturali di volta in volta adottati (Perugi, Toni, 2002).
Da una rassegna, riportata da Perugi e Toni (2002), dei differenti significati attribuiti al concetto di ansia a seconda del modello teorico-culturale di riferimento, emerge l’intensa esigenza umana di comprendere e definire questa esperienza emotiva e, al contempo, le difficoltà nel delimitarne precisi confini.
Da un punto di vista filosofico-esistenziale, l’ansia è stata descritta come una condizione esistenziale imprescindibile e intrinsecamente legata all’uomo, per sua natura cosciente della propria fragilità.
Con il termine “ansia”, infatti, si intende non solo un’esperienza di ordine psicosomatico e psicopatologico ma anche un vissuto appartenente ad una dimensione antropologica ed esistenziale (Borgna, 1998).
Riprendendo il pensiero di Heidegger, Borgna (1998) ricorda che, secondo il noto filosofo tedesco, l’angoscia viene sperimentata dall’individuo non in relazione ad un qualunque oggetto concreto e definito, ma per il solo fatto di esistere; inoltre, l’esperienza di questa particolare condizione emotiva è, nel discorso di Heidegger, per certi versi auspicabile, in quanto “sottrae l’esistenza alla sua banalità (alla sua quotidianità) e rivela a essa l’autenticità, e l’in-autenticità, come sue antinomiche possibilità” (Borgna, 1998, p.133). Allo stesso tempo, l’angoscia obbliga l’individuo che ne fa esperienza a confrontarsi con l’incombente possibilità della morte, un pensiero che altrimenti tenderebbe a rimuovere (Borgna, 1998).
Da un punto di vista evoluzionistico, l’ansia rappresenta un fenomeno costitutivo dell’esperienza umana e possiede un valore adattivo che risulta funzionale per la preservazione della specie (Nisita, Petracca, 2002). La reazione d’ansia ha infatti originariamente una funzione istintiva difensiva, che risponde all’istinto di conservazione: il suo emergere comporta un aumento della vigilanza e avvia un meccanismo fisiologico di allarme che predispone l’organismo alla difesa e all’azione.
Così come la paura, l’ansia riveste dunque un importante ruolo nell’ambito dell’evoluzione filogenetica; in questi termini può essere considerato come un meccanismo innato che si attiva in conseguenza di pericoli reali o presunti e modificabile attraverso l’apprendimento. E proprio grazie ai meccanismi di apprendimento, l’esperienza ansiosa può provocare un aumento della vigilanza in relazione a pericoli futuri ed influenzare la capacità dell’uomo di pianificare le proprie azioni e di compiere scelte più o meno funzionali al contesto in cui si trova (Perugi, Toni, 2002).
L’ansia può rappresentare un sintomo di numerose sindromi cliniche e, allo stesso tempo, è un fenomeno che si manifesta normalmente nella vita di ogni individuo.
Alcune fasi o momenti particolari dello sviluppo sono per loro natura accompagnati da una temporanea condizione ansiosa.
Ne sono un esempio (Perugi, Toni, 2002):
– l’ansia di separazione o l’ansia dell’estraneo sperimentata dal bambino;
– l’ansia in concomitanza di grandi cambiamenti esistenziali;
– l’ansia in situazioni di minaccia per l’integrità fisica o di pericolo per il proprio ruolo sociale.
L’esperienza soggettiva di uno stato d’ansia o tensione è una condizione che si verifica frequentemente nella popolazione generale e che può assumere differenti livelli di intensità.
Alcuni autori (Smeraldi, Bellodi, Provenza, 1991) definiscono questo stato affettivo non tanto come un sintomo o una sindrome specifica, ma piuttosto come una modalità di esistenza, verosimilmente legata a conflitti contingenti alla natura umana, le cui manifestazioni (apprensività, inquietudine e paura) possono intensificarsi ed assumere una connotazione psicopatologica. Come ricorda Borgna (1998), esistono molteplici forme ed altrettanti elementi che possono essere connessi all’origine dell’ansia. Non è opportuno, dunque, attribuirle a priori una connotazione negativa, ma occorre considerare le sue manifestazioni nell’ambito di una relazione dialogica, che consenta un’analisi a più livelli delle caratteristiche dell’ansia e dei suoi significati (Borgna, 1998). Citando l’autore, “c’è un’ansia evitabile e una inevitabile; c’è un’ansia distruttiva e una dotata di un senso che è necessario decifrare; e c’è un’ansia che fa parte della condizione umana e non è “patologica”” (Borgna, 1998, p. 136)
Secondo Perugi e Toni (2002) l’ansia è normale quando l’individuo è in grado di esercitare un controllo su di essa, conservando un buon esame di realtà e la capacità di mantenere una posizione attiva, cercando soluzioni funzionali con le quali far fronte alle minacce che causano lo stato ansioso. In questo caso l’individuo può trarre beneficio da questa esperienza e realizzare un adattamento all’ambiente che sia per lui soddisfacente.
L’ansia normale, infatti, è essenziale in quanto informa l’individuo sui pericoli a cui potrebbe andare incontro e lo indirizza nella ricerca di soluzioni adeguate al contesto; in questo senso rappresenta per il soggetto un importante stimolo all’azione (Braconnier, 2003).
Come sostengono anche Smeraldi et al. (1991) l’esperienza ansiosa è normale e funzionale quando si presenta come una reazione d’allarme diretta contro uno stimolo reale e conosciuto; questo tipo di reazione provoca uno stato di tensione psicologica che tuttavia attiva le risorse dell’individuo e potenzia le sue capacità operative finalizzate alla risoluzione del problema.
Inoltre, una quota d’ansia limitata può essere incanalata in attività socialmente accettate, come attività artistiche, intellettuali e sociali, e rappresentare per l’individuo una fonte di curiosità(Braconnier, 2003) e anche di creatività (Borgna, 1998; Bracconier, 2003). Bracconier (2003) definisce l’ansia un’emozione attiva e complessa, che, a seconda della sua intensità, può spingere l’individuo all’azione o, al contrario, renderlo incapace di agire. Queste contrapposte potenzialità sono dovute alla reciproca interazione di due elementi costitutivi dell’ansia: uno di ordine emotivo e uno di ordine cognitivo. Il primo è rappresentato dal sentimento di insicurezza, che, secondo l’autore, risponde all’istinto di conservazione, mentre il secondo è dato dall’incertezza, che favorisce le capacità di analisi e scelta (Bracconier, 2002).
Se l’ansia è presente in forma lieve, l’unione di questi due elementi porta a risultati positivi, in quanto provoca l’attivazione del pensiero e favorisce l’immaginazione nella ricerca di risposte e soluzioni con cui affrontare la realtà. Nel caso in cui la quota d’ansia sia eccessiva, i due elementi costitutivi operano nel verso opposto, paralizzando le facoltà individuali e ostacolando sia il pensiero che l’azione (Bracconier, 2003).
Nei casi in cui l’individuo non riesce a trovare soluzioni adattive per fronteggiare situazioni sconosciute o potenzialmente pericolose, l’ansia può perdere le sue caratteristiche funzionali ed assumere un carattere patologico, determinando vissuti di impotenza e di passività nel controllo delle proprie emozioni (Perugi e Toni, 2002). Un criterio differenziale tra la normale reazione d’allarme e l’ansia patologica è rappresentato dal fatto che la prima amplifica le capacità operative del soggetto, mentre la seconda le disturba e influisce negativamente sulle prestazioni (Smeraldi et al., 1991).