E’ un dato di fatto che oggi, nel mio lavoro di psicologa e psicoterapeuta mi trovi ad affrontare situazioni molto complesse come ad esempio quelle legate ai così detti disturbi del comportamento alimentare. Da questo trae origine l’idea di scrivere qualche considerazione a riguardo, prendendo spunto da varie fonti che hanno a più titoli trattato l’argomento.
” … Il cibo non è per le anoressiche affatto negativo come cosa in sè, (…) ma è amabile, desiderabile, interessante, importante, continuamente presente nello spirito. (…) E’ l’atto di cibarsi che è diventato pericoloso e angoscioso. Nessuna azione, nemmeno un delitto, assume per l’anoressica un significato di auto-degradazione e sconfitta quanto il saziarsi.” (M. Selvini Palazzoli, 1981)
L’anoressia è considerata la perdita totale o parziale dell’appetito. E’ un sintomo che può avere un’origine organica o psicogena connesso a disturbi dell’affettività.
Nei bambini iperprotetti, questo sintomo può rappresentare un modo per esprimere ostilità nei confronti dei genitori che rifiutano la loro autonomia e indipendenza.
Nell’ambito delle anoressie particolare importanza ha “l’anoressia mentale” considerato uno stato patologico che insorge in giovani donne con problemi di natura emotiva, i più comuni dei quali riguardano l’accettazione del proprio ruolo femminile, e per conflitti psicologici maturati all’interno dell’ambiente famigliare in particolare nella relazione con la madre.
Nonostante il rifiuto categorico nel mangiare e l’apparente totale mancanza di preoccupazione relativa al forte dimagrimento, il comportamento delle persone che soffrono di questa particolare condizione appare vivace e normale, anche se l’estrema debolezza e l’eccessiva magrezza possono portare a conseguenze anche mortali.
H.Bruch distingue tre segni che differenziano l’anoressia mentale dalle altre forme di anoressia:
- il disturbo dell’immagine corporea di proporzioni deliranti da cui dipende anche l’assenza di preoccupazione per stadi anche gravissimi di emaciazione;
- il disturbo della percezione e cognizione degli stimoli provenienti dal corpo da cui dipendono, ad esempio, l’iperattività e l’eccessiva persistenza delle posture corporee disagevoli, come se il corpo non ne soffrisse;
- il senso paralizzante di impotenza cui si collega il terrore di perdere iò controllo dei propri istinti ed essere travolti dall’impulso incontrollabile di mangiare.
(U. Galimberti, Dizionario di psicologia, ed. Utet)