In questi giorni stavo pensando al concetto di “ri-caduta”. Sono andata sul dizionario a cercare il significato esatto di questa parola ed ho scoperto: “cadere” dal latino CÀDERE p.p. CÀSUS per CASSUS che taluno avvicina a KÀTO di sotto, di giù, ma invece trae dalla radice CAD. Venire da alto in basso senza ritegno, portato dal proprio peso; Avvallarsi, Andare giù, scendere, fig. Venir meno, Prevaricare. Per estensione si usa in luogo di occorrere, incorrere, venire, pervenire, sempre con il concetto sottinteso di un moto materiale o intellettuale dall’alto al basso. Per es: Cadere di mente, d’animo, di memoria ecc ecc.
Ri-cadere ovvero cadere di nuovo. In psicologia questo concetto è applicato prevalentemente agli utenti delle comunità terapeutiche e alle persone che afferiscono ad alcuni gruppi di auto aiuto. In questi casi ri-cadere significa incorrere nuovamente negli stessi errori, se parliamo di persone con dipendenza da sostanze stiamo dicendo ripresa dell’uso dopo un periodo di astinenza. Stessa cosa se parliamo di soggetti con dipendenza da alcool. E le persone che non rientrano in questi “gruppi”?
Le persone che non abusano di sostanze? In cosa ricadono, se lo fanno?
Credo che ognuno di noi si sia detto almeno una volta nella vita :” Accidenti! Avevo detto che non avrei mai più fatto questa o quella cosa ma ci sono ricaduto!” Mi sbaglio? Non vi è mai successo? Allora proviamo a pensare a come mai certe cose “accadono”.
Facciamo delle ipotesi:
- Ri-cadiamo in un vecchio amore solo per nostalgia?
- Ri-cadiamo nell’utilizzare ancora sostanze stupefacenti solo perché ci piace?
- Ri-cadiamo in un bicchiere di vino solo per tristezza?
Io non credo, così come non credo esista un’unica spiegazione a questo tipo di situazione.
Se pensiamo al concetto di identità forse possiamo iniziare a capire: A. Salvini (2005) così scrive: “ L’identità psicologica non è una cosa, un’entità naturale, ma è un effetto semiotico e mutevole del campo relazionale. Fluttua tra due polarità: da un lato la coerenza e la continuità, dall’altro le rappresentazioni di sé, socialmente e soggettivamente situate. Per cui l’identità come esperienza soggettiva socialmente situata, può essere generata e sperimentata in termini di stabilità e continuità: come massima sovrapposizione tra ruolo, memoria autobiografica, concetto o rappresentazione di sé, o come esperienza frammentata e plurima” e ancora “ […] l’ individuo non resta passivo di fronte al prodursi dei significati che lo riguardano e che producono le rappresentazioni di sé o del suo senso di identità personale.
Finchè gli è possibile l’individuo partecipa attivamente a sostenere una definizione della situazione; per esempio, una relazione interpersonale, che sia coerente con le immagini che ha di se stesso. L’identità è negoziata tra l’ individuo agente e il contesto significante che si organizza intorno ai suoi atti e alle sue intenzioni, e non è separabile dalla presenza dell’Altro, sia esso una memoria, un artefatto umano o una persona reale. L’identità è un costrutto che serve per dare senso al nostro essere nel mondo.
Cos’ha a che fare quindi questo con quanto esposto all’inizio di questa breve riflessione?
Prendiamo il primo esempio: ricadere in un vecchio amore: come mai dopo molto tempo trascorso dalla fine di una relazione ci ritroviamo ad immaginare di stare nuovamente con questa persona? Come mai dopo tutto quello che abbiamo passato?
Se l’assunto dal quale partiamo è che la nostra identità si genera TRA le persone, allora abbiamo meglio compreso questo “fenomeno”.
Forse Ri-cadere diviene un concetto improprio, in quanto non torniamo indietro ma ci ricollochiamo su qualcosa, qualcuno che dà senso al nostro stesso esistere. Ciò che siamo, i contesti nei quali ci muoviamo, le persone con le quali ci confrontiamo, ci rimandano un’immagine di noi.
Le scelte che compiamo nascono e si producono dal fatto che siamo in relazione con gli altri. Definiscono la nostra identità.
Per esempio un vecchio amore può generare un senso. Ci dona senso! Ritorniamo in una vecchia relazione, ricominciamo ad usare sostanze, a bere, perché in quel momento questo è quello che siamo e che meglio ci rappresenta.
Forse non si tratta di commettere degli errori o di sbagliare. E’ importante per noi costruirci in quel modo perché in quel momento non abbiamo altri modi possibili per parlare di noi. Non perché ci mancano le parole ma perché ci manca un’alternativa, una strada altra che ci identifichi e che ci dia senso. La difficoltà sta proprio in questo.
Non credo esistano persone non motivate al cambiamento o alle quali “piace” vivere in un certo modo. Credo esistano persone che hanno costruito la loro identità attraverso le proprie esperienze ed è proprio questo il punto. Fare nuove esperienze dove porre a revisione noi stessi, la nostra stessa costruzione di noi.
Un cammino lungo e tortuoso che inizia solo nel momento in cui non ci riconosciamo più in quello che eravamo.