Lunedi 21 Maggio presso la sala civica del comune di Remedello ho partecipato ad un convegno dal titolo” Parla con Lui:dialogare con gli uomini per vincere la violenza di genere.”
La serata è stata promossa dal Comune di Remedello e dalla Consigliera di parità della provincia di Brescia.
La serata è stata così articolata: saluti e introduzione da parte del Sindaco di Remedello, della Consigliera, del giornalista di Brescia Oggi Enzo Trigiani. Successivamente proiezione del film “Parla con lui” e dibattito finale alla presenza mia e di un’altra collega, anch’essa psicologa.
Di seguito ho pensato di condividere alcune riflessioni:
Nel documentario proposto al pubblico dal titolo “Parla con lui” della regista Elisabetta Francia abbiamo sentito, forse per la prima volta, la voce di chi le donne le ha picchiate, abusate, violate. Voci che trafiggono come coltelli, che ammutoliscono gli osservatori e aprono scenari di grande dolore e vuoto.
Abbiamo sentito la voce dei così detti carnefici, e credo che nessuno di noi presenti alla serata possa essere rimasto indifferente alle parole che ha ascoltato.
Insieme a quelle, le voci di altri uomini/ragazzi che non hanno compiuto alcun’ atto di violenza ai danni di nessuna donna ma che hanno lasciato la loro testimonianza rispetto alle loro credenze, alle loro idee, ai loro pre-giudizi.
Personalmente mi ha colpito la freddezza con la quale alcuni di questi uomini hanno descritto il loro essere “abusatori”, la mancanza di empatia che si avverte in ciò che narrano: uno degli intervistati dice: “ non lo vedi il male dell’altro, non ce l’hai in mente, lo fai per te stesso, per stare bene!”
Il non riuscire a vedere l’altro, a coglierlo nella propria interezza, a identificarlo come altro da sé. Questo documentario testimonia, a mio avviso, tra i vari aspetti proprio questo,e questo dovrebbe essere uno dei punti sui quali concentrarsi per promuovere una cultura del rispetto.
Sarebbe importante rendere chiaro questo: esisto io e esiste l’altro. Un’altro che ha pensieri, idee, desideri, sentimenti propri, una propria individualita’.
Ho provato inoltre un senso di smarrimento, di inevitabilità nel sentire alcune di quelle testimonianze. Ho pensato che se ancora oggi esistono (ed esistono!) stereotipi così antiquati, così arcaici, noi come donne, come madri abbiamo l’obbligo di cercare di promuovere un’idea di donna diversa.
Nonostante gli imbarazzi la gente, in particolare le donne hanno parlato, hanno chiesto, si sono mostrate curiose di comprendere. L’ hanno fatto attraverso i vari ruoli che le donne rivestono, hanno parlato in qualità di mamme, mogli, fidanzate, sorelle, amiche di uomini.
Mentre gli uomini, seppur presenti sono stati in silenzio. Chissà con quali pensieri, dubbi, idee.
Ho apprezzato lo sforzo fatto da tutti per rendere “facile”, il parlare di un reato così crudele e disumano ma non ho potuto evitare di osservare quanta strada vi sia ancora da fare per rendere le donne protagoniste del proprio Essere.
Ho sentito dire dalle donne, che purtroppo sono spesso “costrette” a stare a casa e a badare ai figli. Lo hanno detto donne giovani, lo hanno sottolineato come un dato di fatto… come una condanna!
Questo ci da l’idea di quanto ancora siano radicati certi pregiudizi, certi stereotipi. Così insiti dentro di noi, da non rendercene nemmeno più conto. Diciamo a noi stessi e agli altri che certe cose “vanno così, perchè così devono andare!”. Questo è un modo, ma esistono altri modi, innumerevoli.
Ancora oggi le donne chiedono scusa, si vergognano di desiderare altro da un focolare. Si scusano di desiderare di essere libere.
E’ così forte culturalmente l’idea della donna come di qualcuno da sottomettere che stiamo finendo per crederci noi stesse.
Nel dibattito di lunedi ci si è soffermati su alcuni aspetti della violenza, in particolare su quella famigliare ma il documentario ha mostrato altre forme di violenza.
Mi hanno molto colpito le canzoni scelte e le frasi di alcuni filosofi e santi del passato così come le immagini di alcune pubblicità.
Canzoni e frasi si riferivano alle donne come “uomini mancati” o come “oggetti da comprare”, le pubblicità mostravano donne legate, ammanettate, dentro delle bottiglie, in lingerie che stirano camice per uomini in giacca, cravatta e valigetta pronti a conquistare il mondo.
Immagini che ogni giorno ci bombardano, entrano nella nostra testa attraverso la televisione, la pubblicità sui manifesti, i giornali, alle quali non si fa più nemmeno caso ma che veicolano un messaggio chiaro e semplice: sei un oggetto di proprietà altrui. Appartieni ad un altro che dispone di te a proprio piacimento. Questo è ancora più evidente nella pornografia e in internet.
Questi i temi che, dal mio punto di vista, bisognerebbe approfondire e se serate come queste riusciranno a generare riflessioni e interrogativi credo che si potrà dire di aver iniziato a mettere in moto un, seppur piccolo, cambiamento!