Marcel Proust ha scritto: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”
Credo che questa immagine ben rappresenti cosa intendo per percorso di psicoterapia.
Nella psicologia dei costrutti personali, l’approccio al quale mi ispiro e con il quale mi identifico, il disturbo è definito come “Qualsiasi costruzione personale che tende ad essere usata nonostante ripetute invalidazioni ” (G. Kelly, 1955). Questo significa che la persona si trova in una situazione dove non vede vie d’uscita o alternative possibili a ciò che momentaneamente sta vivendo.
L’obiettivo della terapia è quello di favorire la ripresa del movimento, aiutando la persona a costruire alternative Altre al suo malessere.
Usare nuovi occhi, indossare nuovi occhiali per guardare al mondo, sé stesso, le proprie relazioni. Certamente non è un lavoro facile e nemmeno privo di momenti di impasse, ma di certo può dare enormi benefici.
Quando la persona può iniziare a raccontarsi una storia vecchia (ad esempio i rapporti con qualcuno che è stato per lui importante), in un modo nuovo abbiamo fatto l’esperienza dell’assunto filosofico più importante dell’intero complesso teorico costruttivista, vale a dire l’alternativismo costruttivo: “[…] perfino gli accadimenti più ovvi della vita quotidiana potrebbero rivelarsi totalmente trasformati se fossimo sufficientemente creativi da costruirli in maniera diversa.” (Kelly, 1966).
Fatta questa “scoperta” del rapporto tra conoscenza e realtà, il paziente può porre a revisione la maggior parte delle sue convinzioni ed esperienze. Entra in campo, ed è un punto di non ritorno, la responsabilità individuale nel processo di costruzione della nostra “felicità”, del modo in cui vogliamo vivere e del mondo in cui vogliamo partecipare.